Internet: nickname con dati non propri è reato


La privacy su Internet fa un altro passo in avanti. L’ultima sentenza della Corte di Cassazione, infatti, ha ufficialmente riconosciuto come reato penale la creazione di un nickname composto da dati sensibili che possano, più o meno indirettamente, riferirsi ad una persona giuridica che non sia l’utente in questione. In caso di denuncia, infatti, si correrebbe il rischio di essere condannati per sostituzione di persona.

La questione è venuta fuori con l’emissione della sentenza 18826 della Suprema Corte. Il caso in oggetto riguardava una donna che, desiderosa di rivalsa nei confronti di un’ex datrice di lavoro, aveva creato un nickname su una chat di incontri erotici composto dalle iniziali e dal numero di telefono della vittima. Una mossa che, ovviamente, aveva portato i partecipanti a rispondere ad espliciti inviti con telefonate, invii di foto oscene e anche insulti di vario tipo. A questo punto la vittima ha ritenuto opportuno far partire la denuncia, rintracciando così la creatrice del falso account. Il caso ha attraversato tutti i gradi di giudizio: la ricorrente sperava che la creazione di un falso nickname non ricadesse sotto gli articoli del Codice Penale, in quanto sarebbe stato considerato reato solamente la creazione di un vero e proprio account con dati non propri, al fine di recare danno ad una terza persona giuridica, appropriandosi delle altrui generalità. La creazione del solo nickname, sembrava sfuggire a questa legge. Così non è.

La Suprema Corte, però, ha voluto mostrare come fosse necessario estendere l’efficacia dell’articolo 494 del Codice Penale, riguardante le “aggressioni online”, riconoscendo i nickname come parte dell’identità virtuale di una persona. Contrariamente a quanto ritenuto in passato, quindi, questi avrebbero una dimensione concreta, per quanto non possano valere come attestato giuridico dell’identità di un soggetto. Esattamente come gli pseudonimi, quindi, anche i soprannomi online hanno ora dignità di nome vero e proprio, il cui “furto” o anche la creazione di un’imitazione che possa indurre volutamente all’errore può essere passabile di denuncia e di conseguente condanna penale.

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Fonte: tecnologia.guidone.it/